Il campanile di Curon: come nasce una leggenda

di Emma Crescenti

Da tempo l’avevamo inserita nella “to do”, anzi “to see list”. Le vedute di Curon e del suo campanile sommerso, che spicca dalle acque pacifiche del lago di Resia, sono un richiamo irresistibile per chiunque ami la montagna, il panorama e il folklore del Trentino Alto Adige. Quando poi ha debuttato sul piccolo schermo nella serie tv Curon, piccolo gioiello dell’horror/mistery italiano distribuita su netflix nel 2020 (per chi non l’ha ancora vista, è tempo di farlo!) la curiosità è schizzata alle stelle.

In perfetto Alberto Angela’s style partiamo con un po’ di divulgazione. Perché dietro l’immagine da cartolina, dietro la cuspide che ha regalato al borgo fama e notorietà, c’è una storia che di idilliaco ha ben poco: è così immergendosi nel lago, dove riposa ciò che resta della vecchia Curon, si scopre che dietro la fiaba si nasconde la cruda realtà dove il “bad guy” è il progresso e la sua vittima una comunità costretta a ricostruirsi altrove, seppur solo qualche metro più in là.

Il campanile di Resia: come nasce la leggenda

Il lago di Resia, come lo conosciamo ora, è frutto dell’unione di due laghi: quello di Resia, per l’appunto, e quello di Curon. Nel 1939, cavalcando la spinta nella produzione di energia idroelettrica, avviata dal Governo già dagli anni Venti, al consorzio Montecatini fu dato il nulla osta per la realizzazione di una diga che avrebbe innalzato il livello delle acque di 22 metri, sommergendo di fatto l’antico abitato di Curon e parte di quello di Resia. Congelati dalla Seconda Guerra Mondiale, i lavori ripresero nel 1947: a nulla servirono le proteste degli abitanti dei due borghi contrari ad abbandonare le proprie case. Nel giro si tre anni decine e decine di case furono demolite con l’esplosivo prima che la conca fosse completamente allagata, mentre il paese fu ricostruita più a monte, rinominata Curon Venosta: unico sopravvissuto fu il campanile trecentesco della chiesa di Santa Caterina d’Alessandria.

Testimone della storia e delle trasformazioni delle valle, la torre è al centro anche di molte leggende. Una di questa racconta che nelle notti d’inverno, quando il vento soffia sul lago ghiacciato, si sentano suonare le campane del campanine. Campane che, però, furono rimosse nel 1959.

Una giornata fra Curon e Resia

Seguendo la voce delle campane siamo arrivati sul lago di Resia a inizio febbraio, ospiti dell’Hotel Alpenjuwel di Melago, l’ultima frazione di Curon Venosta, quasi al confine con l’Austria. Stanza e bagno erano piccoli ma accoglienti, ottima invece la scelta delle mezza pensione con colazione a buffet e una cena gourmet di cinque portate che, lo ammettiamo, ci ha lasciato davvero stupiti: caro chef, per la tua cucina altoatesina il voto è “diesci”. Per rilassarsi la struttura ospita anche una piscina con idromassaggio e una piccola sauna.

Il sabato inizia presto e non ci scoraggiano nemmeno i -17 gradi che come aghi iniziano a pungere una volta lasciato l’hotel di prima mattina. Armati di guanti e doppia calza, affrontiamo la discesa verso il centro di Curon, per poi parcheggiare a pochi passi dal grande parco. Da lì parte una breve passeggiata e superata la collina su cui sorge la chiesetta di Sant’Anna la vista si apre sul campanile sommerso: una visione tanto suggestiva d’estate, ancor più d’inverno quando il lago completamente ghiacciato quasi ti invita ad avvicinarti per toccare con mano la leggenda. Venti metri più sotto, per i resti del vecchio borgo il tempo si è fermato agli anni Cinquanta. La vista è più che suggestiva, le gambe ci portano verso l’interno del lago per scattare foto d’effetto che però non rendono giustizia al panorama. Siamo solo due puntini in mezzo a un’immensa coltre bianca, abbracciata dai monti e sporcata solo dalle scie di chi, il giorno prima, aveva sfrecciato sul lago facendo  kitesurf. Una magia che lascia senza parole finché, notata una crepa nel ghiaccio, spuntano i brividi (non di freddo) e in fretta e furia riguadagno la sponda del lago. Daniele mi segue, scuotendo la testa rassegnato.

La tappa è successiva è la frazione di Resia, che come Curon e le altre località della valle vive soprattutto di turismo, pastoria e dell’industria del legname. Lungo la via si aprono soprattutto alberghi e negozi tipici, da cui usciamo carichi di speck e Lagrein, “il miglior vino rosso di questa zona”, commenta l’amico commerciante con un sorriso e un marcato accento tedesco. Poi tappa al Mein Dörfl, il ristorante affacciato sul lago, per un pranzo a base di birra e canederli, la piccola escursione fino alle sorgenti dell’Adifg e un giro del lago e una tazza di cioccolata, finché il sole non sparisce dietro le montagne, il segno che è tempo di rientrare.

Tappa a Burgusio, Glorenza e Merano

La domenica il tragitto verso casa è scandito da una serie di tappe a ritroso lungo la Val Venosta.

A Burgusio, frazione di Malles Venosta, il castello medievale del principe racconta una storia cominciata alla fine 1200 e mai conclusa: più volte restaurata, la rocca nel corso dei secoli è stata adibita alle più disparate attività, da tribunale a ricovero di fortuna, da caserma e prigione a fabbrica di birra fino a diventare la sede di una scuola professionale per l’agricoltura di lingua tedesca.

Poco più sù, sentinella della cittadina è l’abbazia di Monte Maria,  monastero benedettino che sorge a 1.335 metri intorno al quale si estendono i vigneti più alti del nord Europa e il Sentiero delle Ore, patrimonio culturale dell’Unesco.

Piccolo gioiello dell’architettura tardo-medievale è invece Glorenza, dove veniamo accolti in pompa magna con tanto di banda e rievocazione storica. Considerato uno dei borghi più belli d’Italia ebbe un ruolo da protagonista durante la Seconda Guerra Mondiale, in quanto fu costruito un sbarramento per impedire al nemico di invadere il territorio dal Passo di Resia. Ultima tappa invece a Merano, a chiederlo è stata la pancia: ci ricarichiamo con stinco e birra al Forserbrau, prima di tirare verso casa.

E’ stato bello, anzi bellissimo. I paesaggi da sogno dell’Alto Adige sono scolpiti nella mente, così come il campanile e la triste storia di Curon. Sicuramente ci torneremo: quando, sciolto il ghiaccio, la valle e i suoi borghi torneranno a fiorire.

Non vediamo l’ora di… Islanda

Sono mesi ormai che non scriviamo più dei nostri viaggi. Prima per un motivo, poi per un altro: aggiungiamo che il Covid-19 non aiuta di certo e caliamo l’asso con una quarantena, prevedibile sì, ma sicuramente non cercata! Ma è stato proprio l’essere costretti in casa a risvegliare la voglia di andare oltre alla quotidiana routine e condividere con voi qualche avventura. Di progetti e di viaggi nel cassetto ce ne sono a bizzeffe, ma gli occhi ora sono puntati solo verso una meta: la bella (e fredda) ISLANDA!

Sperando che la combo maiuscolo e punto esclamativo riesca a enfatizzare al massimo quanta determinazione ci sia.

Diciamo la verità. Ognuno nel suo Io convive con un lato ossessivo compulsivo che nel nostro caso si è tradotto nel rovistare quasi ogni giorno siti su siti alla ricerca delle migliori offerte sui voli: addirittura ci è capitato di scorgere un volo andata e ritorno a meno di 100€. C’era una “piccola” tappa da fare in Finlandia di qualche ora, ma che problemi ci sono a parte 8 ore in aeroporto. Per l’Islanda questo e altro.

Sono mesi ormai che cerchiamo le informazioni necessarie per pianificare il miglior tour da fare, accompagnati e no, ma questo purtroppo non aiuta perchè siamo indecisi più che mai se optare per il giro massiccio oppure concentrarci su una determinata zona. Da qualche parte però bisogna pur iniziare e lo facciamo navigando in internet perchè si sa: il viaggio comincia sempre da Google. Alcuni blog consigliano di dedicare il giusto tempo a quest’isola fantastica, che vuol dire tutto e niente. Andiamo più sul concreto.

Ci affascinano tantissimo la natura e paesaggi nordici, quindi opteremo per un viaggio che ci possa permettere di stare a contatto con al natura al 100%: per questo, sfogliando guide e andando a caccia di consigli nel mare del web, abbiamo selezionato alcune tappe che ci piacerebbe includere nel nostro viaggio.

Circolo d’oro: per la maggior parte delle persone che hanno camminato su questo trekking, è un must have. Questo sicuramente entra a pieno titolo nella lista delle cose da vedere.

Proseguiamo aggiungendo la Valle Thórsmörk e Landmannalaugar. Molto probabilmente andremo d’estate (evitando Agosto visto che sembra impossibile trovare alloggi in quel periodo) e per questo motivo vorremo vedere questo luogo maestoso dal nome altrettanto epico: letteralmente, la valle di Thor, che certamente non ha bisogno di presentazioni nemmeno fra i meno nerd. Sicuramente non riusciremo a fare il trekking di Laugavegurinn che unisce le due vallate: se l’idea è di fare un viaggio di una decina di giorni, i 55 chilometri del tragitto non si sposano ne con il tempo ne con le gambe che, ahimè, non sono così allenate.

Come non aggiungere poi una bella visita alla penisola di Snæfellsnes con il suo ghiacciaio-vulcano Snæfellsjökull, dal cui cratere erano entrati i protagonisti del Viaggio al centro della terra di Jules Verne, o un bel giro nella laguna glaciale Jökulsárlón  per ammirare il più grande ghiacciaio d’Islanda Vatnajökull? Infine, sulla tabella di marcia, non possono mancare le cascate di Seljalandsfoss e Skógafoss. Segniamo sulla lista, dunque.

Anche se probabilmente non potremo vederli come si può non menzionare l’aurora boreale e le grotte di ghiaccio? Quest’ultime sono presenti solamente d’inverno, poiché anche l’estate in Islanda è meno fredda e le grotte spariscono.

Certo, sono solo idee da tenere in considerazione. Ma intanto, almeno nella nostra mente, iniziamo a costruire il nostro viaggio alla scoperta del Nord. Magari anche con un bel tour sulle motoslitte!

Toccata e fuga in Toscana

di Emma Crescenti

La sognavamo ormai da tempo. Per noi, amanti dei sapori e dei luoghi imbevuti di cultura, la Toscana era ben più di uno smartbox nel cassetto, quanto una vocazione. Quel “e se andassimo?” tanto rimandato che alla fine si è tradotto in un mini viaggio alla scoperta della Maremma e della terra del vino. Siamo partite con pochi risparmi e una manciata di giorni a disposizione: siamo tornate con il conto in rosso (almeno io) ma ricche di un’esperienza indimenticabile in una delle regioni più belle di tutta Italia.

Dal cielo di Pisa alla terra degli Etruschi

La voglia di mare è evidente, straborda dalla valigia assieme ai costumi e alle creme solari, ma non vogliamo nemmeno perderci l’arte che la Toscana ha da offrire. La rotta verso Rosignano Marittimo, la nostra prima destinazione, viene arricchita da una tappa a Pisa: un po’ perché è già di strada (lo ammettiamo) un po’ perché “e vediamola ‘sta benedetta torre pendente!”.

Qualcuno sostiene muri invisibili, qualcuno addirittura si sdraia per terra a caccia di prospettive sempre più creative. La passeggiata lungo Piazza dei Miracoli, il fulcro storico artistico della città che ospita il Duomo, il battistero e il campanile più famoso d’Italia, si rivela molto più divertente di quanto prospettato. Per immortalare la nostra visita a uno dei monumenti simbolo d’Italia, per paura di sfigurare davanti agli artisti di strada improvvisati (per fortuna che ci siete voi a sostenerla la torre, raga) optiamo per un classico selfie. Poi dritti al ristorante dove la nostra idea di un piatto fresco e leggero per sfuggire ai 40 gradi lascia il posto a bruschette e pici con la salsiccia una volta aperto il menù.

Di nuovo in macchina, dopo un piccolo qui pro quo con il casello autostradale che ci costringe ad allungare la strada di venti minuti, eccoci a Rosignano Marittimo. Abbandoniamo le valige e ci dirigiamo verso Castiglioncello, parcheggiamo al parco del Castello Pasquini e tempo 10 minuti siamo in spiaggia a goderci il sole e l’acqua limpida e pulita, programmando le giornate successive. A darci una mano è un simpatico esemplare di toscano autoctono che nascosto dietro gli scogli non si era perso una parola della nostra conversazione: grazie dei consiglio, amico, però è stato comunque inquitante: #sapevilo.

Dal sole di Solvey alla tavola di Raffaele

Poche storie, oggi la giornata è dedicata solo a mare, sole e relax. Ce lo meritiamo, così come gli insulti per aver scelto di passarla lungo la costa di Rosignano Solvey, sulle cosiddette Spiagge Bianche. Sono chiamate anche i Caraibi d’Italia e il motivo ci è chiaro fin da subito: la spiaggia si estende per più di una chilometro, è ampia e chiarissima; il mare è azzurrisimo, la sabbia candida. Un vero e proprio spettacolo finché non ti giri e davanti agli occhi compare il motivo di tanta bellezza: lo stabilimento della Solvey, azienda attiva nel settore chimico, i cui scarichi hanno contributo a creare l’effetto tropici.

Ben attente a fissare solo il mare, ci godiamo il momento. Nè lo shooting a cui mi (e si) sottopone Federica, nè la discoteca improvvisata della famiglia dell’est che si accampa poco lontano (anche perché poi sono venuti in nostro soccorso per il solito problema tecnico con l’ombrellone), nè il vento che a una certa decide di farci assaggiare la spiaggia rovinano l’atmosfera. E così, togliendoci la sabbia dalla faccia e dal costume, iniziamo a programmare la cena.

La scelta cade sull’osteria Il Sigillo, un piccolo locale in cima a Rosignano Marittimo. A convincerci è proprio l’oste, Raffaele, e le sue risposte senza peli sulla lingua a qualsiasi recensione vagamente negativa pubblicata su Tripadvisor. Invece che andare al “mecchendraiv”, come suggerito a chi mal sopportava l’attesa delle pietanze, ci sediamo al tavolo e ci facciamo consigliare un buon vino in attesa dalla cena, un trionfo di panzanella, crudo toscano e gnocco fritto, pici e fiorentina. Niente da dire. Solo chapeau.

Dai borghi dei poeti alle cucine componibili

Ci svegliamo respirando cultura. In programma per la giornata c’è infatti un tour nell’entroterra meremmano alla scoperta dei borghi medievali. Ad accoglierci è Bolgheri e il suo Viale dei Cipressi, reso celebre dai versi che Giusuè Carducci gli dedicò nella poesia Davanti a San Guido. Suvereto, che non a caso si è guadaganto un posto fra i borghi più belli d’Italia, con il resti imponenti della Rocca Aldobrandesca ci fa sentire piccole piccole. Castagneto Carducci, che si erge su un colle fra stradine e scalinate antiche, chiude in bellezza la mattinata culturale.

Vaghiamo alla ricerca di una spiaggia dove riposarci per il resto del pomeriggio. “Andate a San Vincenzo” ci dice l’aiuto del pubblico: “non andateci mai” ribattiamo noi, che dopo un quarto d’ora in cerca di parcheggio e una lunga camminata sotto i 40 gradi del mezzogiorno, giriamo le spalle a spiaggia e mare sporchi per tornare verso le rive di Rosignano. Ci fermiamo a Vada, altra località nota per il mare limpido. Arrivarci ha richiesto un altro sforzo (i parcheggi liberi sono lontani) e l’idea di rilassarci come il giorno prima sfuma alla vista del litorale super affollato. Riusciamo comunque a guadagnarci un buco proprio davanti alla tendopoli allestita da una famiglia filippina. E mentre loro a momenti sembrano essere pronti a tirar fuori una cucina componibile noi optiamo per il digiuno dato che Federica (che dalla sera prima aveva tentato di boicottare il mio farro) si accorge di aver lasciato le posate a casa. E vabbè, c’è più tempo per prendere il sole.

Innamorate di Volterra e San Gimignano

Il ritorno a Brescia è inevitabile, ma anziché fare dietro front per la stessa strada optiamo per un percorso diverso e ci addentriamo nell’hinterland . Volterra, la nostra prima tappa, compare in mezzo al nulla all’improvviso, come una visione. “Secondo me è a 2.000 metri” dice Federica, che con l’altitudine non ha molta confidenza: ma mi piace pensare che a confoderla sia stato il panorama perché, davvero, è mozzafiato. La città meriterebbe un’intera giornata, ma ahimè il tempo è poco e non possiamo fare altro: e mentre giriamo ammirando il centro apparentemente senza meta, troppo orgogliose per ammettere che entrambe stavamo cercando la fontana del film New Moon (monumento che, abbiamo poi scoperto, si trova in un’altra località) mi trovo a pensare: “Volterra, ma quanto cazzo sei bella?”.

San Gimignano è la tappa per il pranzo, ma prenotare un tavolo al ristorante la domenica è peggio di cercare un biglietto per un concerto dei Coldplay. Dopo una lunga salita verso il borgo affrontata sotto il sole e un giro veloce del centro, una piccola meraviglia medievale, dopo aver programmato la nostra partecipazione alle prossime elezioni comunali (il Municipio affrescato è davvero bello), ci sediamo al tavolino di un bar per un pranzo veloce a base di TUTTOQUELLOCHEC’E’SULMENU’ perchè avevamo fame. Il portafoglio ormai è vuoto e la carta di credito grida pietà, ma come si fa a non entrare in quella piccola bottega per comprare una bottiglia di vino ricordo? Le altre 3 invece sono colpa dell’accento del titolare, perché quando sento parlare toscano non capisco più niente.

Dopo Certaldo Alto, Vinci è l’ultima meta prima di imboccare l’autostrada in direzione casa. O meglio Anchiano, la frazione celebre per aver ospitato il genio del Rinascimento, Leonardo da Vinci. Sul colle si staglia infatti la casa natale dell’artista e inventore, celebre in tutto il mondo, e un piccolo museo con la replica delle sue opere pittoriche più importanti. Il modo perfetto per concludere la nostra avventura in Toscana.

Corfù: che spettacolo!

di Daniele Mafezzoni

Il primo viaggio con WeRoad non si scorda mai, soprattutto se al tuo fianco ci sono gli amici di sempre. Io e Pietro ne abbiamo parlato per mesi e tra un trekking e l’altro su e giù per le montagne della Lombardia, dopo aver passato in rassegna tutte le metà offerte dall’agenzia, alla fine, in maniera del tutto “spontanea”, ha deciso di accompagnarmi a Corfù.

Giorno 1 – Pronti, partenza, si vola

Optiamo per un volo economico da Bologna, ma che ci costa 2 ore di macchina. Arrivati in aeroporto conosciamo Martina, Maddalena e Duccio, che ci racconta di come il visual merchandising l’abbia attirato a spendere le 8mila ore di anticipo sul volo nel negozio di Yamamai.

Una volta atterrati, è subito “Fast&Furious” capitolo Corfù. Sottotitolo: “Come i tassisti corfioti vogliono fare a gara su chi arriva prima in hotel”. Finito il rally, conosciamo il resto della ciurma. Tutti tranne Ciccio, che ha ben pensato di non svegliarsi la mattina e fare tappa a Madrid. Ma alla fine ci si rincontra sempre e decidiamo di brindare nel bar a fianco all’hotel. L’imbarazzo iniziale ben si sposa con la voglia di provare tutti gli amari di questa nuova terra, con risultati prevedibili e soprannomi che è meglio non ricordare in queste righe…

Giorno 2 – Un tuffo nel Canal D’Amour

Ci muoviamo lentamente (complice la sera del giorno prima) verso Sidari e il Canal D’amour . La leggenda narra che le coppie di innamorati che nuotano lungo il canale dalla spiaggia fino al mare aperto vedranno il loro amore non aver fine. Noi, per suggellare questa nuova amicizia, l’abbiamo affrontato in massa.

Alla vista di alcuni ragazzi che si tuffano dalla scogliere l’adrenalina comincia a salire e così, armati di coraggio e di un pizzico di sana ignoranza, ci siamo buttiamo pure noi. Un tuffo in un nuovo luogo è sempre molto emozionante.

Al pomeriggio ci dirigiamo verso Logas per godere di un’altra spiaggia e più tardi saliamo la scogliere per ammirare un fantastico tramonto sorseggiando della Mythos.

Giorno 3 – Glifada

Accendiamo le macchine e impostiamo la rotta verso Glifada, dove ci aspetta una mattinata all’insegna di relax e mare: la sfida a schiaccia sette in acqua è d’obbligo. Le amicizie costruite a suon di Ozu e Mythos vengono subito distrutte dall’agonismo del beach volley, ma con grandissimo sforzo le restauriamo con il mojito servito in spiaggia sotto i gazebi. La giornata non è finita e decidiamo di darci agli sport acquatici: e via di ciambella galleggiante, bananone, moto d’acqua e parakite. Vengo via con le braccia stanche e con il rimpianto da bambino che non li ha provati tutti, ma non troppo da togliermi il sorriso. A ristorarci ci pensa la cena tipica a base di di tsatsiki, gyros e l’immancabile mythos.

Giorno 4 – Paleokastritsa

Ci infiliamo di nuovo in macchina e ci dirigiamo verso Paleokastritsa: qui lasciamo i bagagli nel monastero che sovrasta il villaggio dal vicino promontorio. Nel pomeriggio ci spostiamo alla spiaggia con tanto di porticciolo, bar molto in voga e un’altra scogliera. Indosso il costume, pronto per il secondo tuffo “acrobatico” della settimana. Fedele al mio stile assai riservato, decido di farlo sapere a tutto l’entroterra urlando un AAAAAAAHHHH!

Risaliti dalla spiaggia, è tempo di sorseggiare un bel bicchiere di Campari. Poi la barca ci porta a Paradise Beach, un angolo di paradiso in questa Corfù molto frenetica.

Giorno 5 – Issos Beach

Oggi Issos Beach. Per raggiungerla bisogna scendere una scogliera, viaggio che affrontiamo carichi di beni di prima necessità: vale a dire un numero indefinito di frutta, birre, qualche anguria e anche dei panini sapientemente preparati “razziando” la colazione a buffet dell’hotel. La fatica viene ripagata dall’acqua stupenda, ma freddissima. Decidiamo di fermarci tutto il giorno e, non contenti, torniamo a Logas per ammirare il tramonto che illumina la costa greca.

Giorno 6 – Paxos e Antipaxos

Destinazione Corfù town, pronti a salire sul nostro traghetto diretto verso Paxos. Sono pochi chilometri quadrati di costa, ma osservandola capiamo subito perchè, secondo la mitologia greca, Poseidone decise di divederla da Corfù per creare il suo nido d’amore con Anfitrite. Spiaggie e acqua a dir poco incantevoli che raggiungiamo a seguito di una breve tappa a Antipaxos, altro paradiso delle isole ionie.

Qui pranziamo e, complice il tempo nuvoloso, passiamo il resto della giornata passeggiando tra i vicoli ammirando la cittadella e facendo shopping.

Giorno 7 – Full immersion nella cultura

Oggi cultura e caldo, tanto caldo. Come ogni mito greco che si rispetti, l’eroe un poco deve soffrire: e così Irene, la nostra guida, ci “condanna” a visitare il palazzo d’estate della principessa Sissi e la Fortezza Veneziana. Le venete del gruppo a suon “gnanca omo” ci spingono fino in cima, dove si staglia anche la chiesa di San Giorgio (anche se a me sembra più un tempio riconvertito). Qui gettiamo la spugna e cerchiamo refrigerio sulle panche dell’edificio. Per chi non sapesse il veneto (ho dovuto farmelo tradurre anche io) il “gnanca omo” è una sfida che nessuno può rifiutare!

Il pomeriggio lo spendiamo nei vicoli della città vecchia, cercando sollievo tra una birra e della granita azzurra.

Giorno 8 – The end

Purtroppo come tutto ha un inizio, ha anche una fine. E così, dopo giorni di puro divertimento, è il momento dei saluti. C’è chi pare prima, chi un po’ dopo, ma tutti lasciamo a Corfù un pezzo di cuore e la convinzione di volersi rivedere il prima possibile.

Grazie mille a Irene, Elena, Cecilia, Maddalena, Martina, Chiara, Samuele, Andrea, Andrea, Mattia, Duccio, Ciccio, Federico, Luca, Riccardo e a Pietro, che mi ha supportato nella scelta del viaggio!

Giordania: una terra da riscoprire

Non ho dovuto pensarci troppo, questo è certo. Ero appena rientrato dalle vacanze estive a Corfù, una settimana di mare e esplorazioni con un gruppo fantastico conosciuto grazie a Weroad, un’esperienza che consiglio a tutti di fare almeno una volta nella vita (io sono arrivato a quota 3, ma credo che il conto continuerà a salire). Ancora carico per il viaggio ho subito controllato la home del sito e in meno di una settimana, passando in rassegna le numerose mete proposte, ho scelto e prenotato la mia avventura. Si vola verso la Giordania, una terra piena di storia e culla della nostra civiltà, resa celebre anche grazie alla filmografia: in tanti ricordano un Harrison Ford che, nei panni di Indiana Jones, cerca di recuperare il santo Graal addentrandosi nel monumento di Petra.

Giorno 1

Si parte con la faccia e la vivacità di chi ha dormito sulle comodissime poltrone di Orio al Serio, ma il cuore è pieno di entusiasmo per la nuova avventura che ci aspetta. Appena atterrati ci informiamo su cosa fare e dove andare per entrare nel Paese: una volta espletati tutti i convenevoli e formato il gruppo dei “weroaders” ci troviamo nell’atrio dell’hotel e mentre beviamo un cocktail di benvenuto discutiamo delle nostra vacanza. Iniziamo con un tour per la città di Amman: un caleidoscopio di colori, sapori e rumori che ci avvolge per tutta la giornata.

Giorno 2

Si inforca lo zaino e si parte, oggi in calendario c’è un po’ di trekking. Destinazione: il parco del Wadi AlMujib. L’idea di darci al canyoning sfuma in fretta a causa del rischio piogge (tipico a novembre, anche se che il cielo sembra essere ben lontano dal voler piovere), quindi ci accontentiamo di andare su per i monti a scoprire gli ibex, una razza di capre autoctone da cui deriva il nome del trail che stiamo percorrendo: e così riaffiorano i racconti di Francesco in un bar molto ambiguo, storie di cui Laura, la nostra coordinatrice, sicuramente si ricorderà molto bene.

Una volta in cima la vista e pazzesca: all’orizzante si stagliano la Cisgiordania, un pezzo d’Israele e tutto il mar Morto, la seconda tappa della giornata. Scendiamo veloci e ci facciamo accompagnare alla spiaggia per un trattamento “di bellezza” ai fanghi naturali e ci divertiamo cercando di andare sott’acqua. L’alta concentrazione di sale, infatti, impedisce le immersioni in profondità, almeno per chi è senza attrezzatura: e così molliamo la spugna e ci lasciamo cullare dal mare. Una volta usciti, mentre l’acqua evapora ci accorgiamo che ascoltare i consigli di chi vive da queste parti è sempre meglio: ci affrettiamo a tuffarci sotto la doccia perchè il sale che ti rimane sulla pelle BRUCIAAAAA!

Giorno 3

Ritorniamo in pista con una visita al castello di Kerak e a Petra, una delle sette meraviglie del mondo.

Del primo non rimane molto: nato come castello pagano, poi diventato sede dei crociati, è il secondo in Giordania per dimensioni. Dopo quello Siriano è il più importante di tutto il medio oriente, era considerato praticamente inespugnabile e per questo rappresentava uno dei luoghi più strategici del Paese. Ci mettiamo di nuovo in cammino per la prossima tappa, Little Petra, conosciuta per le abitazioni caratteristiche scavate nella roccia dal popolo dei nabatei che il giorno successivo troveremo anche a Petra, ma in dimensioni maggiori. Ci lasciamo affascinare dal tramonto che colora le rocce e cerchiamo dei buoni affari nelle bancarelle gestite dai beduini all’ingresso del sito: sono partito dall’Italia senza occhiali da sole e li sto cercando praticamente dal primo istante che ho messo piede in Giordania. Rispolvero le mie doti di contrattazione, ma i beduini sono tosti e meno di 15 Jod (poco più di 20 euro) non mi lasciano nulla. Nada, i miei occhi soffriranno ancora per un po’. Al Wadi ci ospita per la notte, ma tempo di rifocillarci è già siamo pronti per ripartire: ci aspetta Petra by night.

Non esistono parole per descrivere questa esperienza. Già all’ingresso del sito, patrimonio dell’Unesco, ci avvolge l’atmosfera antica che trasuda da tutte le rocce. La luna piena illumina la via aiutata dalle fiaccole appositamente accese per i turisti. Ci avviciniamo al tesoro (la facciata del sito) e all’improvviso nel canyon rischiarato dai piccoli fuochi risuona la voce di un flauto: l’immersione è totale. Se venite in questo Paese super accogliente non potete perdervelo.

Giorno 4

Oggi tutto dedicato a Petra. D’altronde come si fa a non spendere l’intera giornata salendo e scendendo dalle rupi di questo parco. La parte più famosa è il tesoro, ma in realtà oltre all’iconica facciata c’è molto altro. La nostra guida ci sfida dicendoci che in pochi riescono a salire su tutte le vette, ma non ci tiriamo indietro ed è subito “challenge accepted”. Camminiamo, ci arrampichiamo, mi dono in “sacrificio” per avere la forza di tornare giù dalla rupe e addirittura provo a bere una birra in una terra dove l’alcol è bandito.

Torniamo madidi di sudore e con la stanchezza nelle gambe, ma questo luogo ci ha regalato delle emozioni indescrivibili. Non solo siamo riusciti nell’impresa, ma ci siamo pure regalati un tramonto sopra uno dei canyon di Petra.

Giorno 5

Ci concediamo una dormita un po’ più lunga, consumiamo la nostra colazione con calma e partiamo, pronti ad affrontare il deserto del Wadi Rum.

Raggiunto il punto di imbarco saliamo su delle jeep dalle quali ammiriamo il paesaggio intorno a noi. Alcuni invece hanno preferito i cammelli per godersi appieno cosa vuol dire vivere il deserto. Arriviamo a una tenda beduina dove ci viene servito del ottimo tè. Chi non ama mettere lo zucchero dovrà farsene una ragione, non hai possibilità di scelta: il tè beduino deve essere super dolce! Ci ristoriamo con dei panini comprati poco prima e poi ci rimettiamo in marcia per addentrarci nel cuore del deserto. Arriviamo a una rupe e qui scatta la “dronata” per la felicità di Alessandro. Risalire le pendici di questa roccia non è difficile, ma sicuramente non deve darvi fastidio la sabbia, che si insinua dappertutto. Se tenete duro, la vista dalla cima è un ottimo palliativo. Un mare di sabbia e di rocce circonda il tutto, un’infinita distesa color arancione: e sembra che non abbiate mai desiderato altro. Per tutto il tempo che rimango sopra questa roccia mi rimbalza in testa la canzone del Re Leone, ma purtroppo non ho nessun cucciolo con me al quale annunciare che tutto questo un giorno sarà suo.

Proseguiamo il viaggio e arriviamo al nostro alloggio notturno, un complesso di tende dove servono anche la cena. Più in là nella serata scopro che nel deserto ci sono animali “influencer” ai quali piacciono le mie ciabatte alla moda e di colpo me ne devo privare perchè inutilizzabili.

PS. gli occhiali sono riuscito a trovarli a Petra a 10 Jod, ma avrei pagato anche di più: il beduino, appena inforcati, ha esclamato ” you look awesome!”. Una gratificazione per il mio (smisurato) ego.

Giorno 6

La sveglia scatta prestissimo, vogliamo goderci l’alba nel deserto. Una volta sopra l’ennesima rupe l’entusiasmo è palpabile, ma un signore lo smorza subito dicendoci che qualche giorno prima una persona era caduta. Una toccata scaramantica è d’obbligo, non mancano nemmeno gli scongiuri, ma non ci facciamo demoralizzare troppo e ci lasciamo cullare dai primi raggi della giornata.

Saliamo sul pullman e lo puntiamo verso il mar Rosso: finalmente un po’ di relax e vita da mare. La sabbia e le scarpe da trekking fanno spazio a feste in barca, cocktail, beach volley e acqua limpida.

Giorno 7 e 8

Il relax è stato solo un parentesi. Dopo una super sfacchinata in cui maciniamo chilometri su chilometri siamo di nuovo ad Amman. Qui visitiamo la città vecchia e ci diamo agli acquisti. Non vorremmo mai lasciare questa terra tanto ospitale e quindi portiamo a casa tè, ricordi e le classiche calamite da appendere al frigorifero. Il giorno successivo ci aspetta il volo di rientro e non abbiamo molto tempo da poter investire in altro.

Un altro sole tramonta ed è già l’indomani: è tempo di salutare e ringraziare i miei compagni di viaggio. Laura, Laura, Martina, Giada, Roberta, Alice, Carmen, Simona, Simone, Giovanni, Andrea, Francesco, Thomas, Francesco e Alessandro: alla prossima!

#JT Pasta fresca all’uovo

Riscopriamo i nostri sapori

Andare alla ricerca di nuovi sapori è importante, ma lo è altrettanto riscoprire e valorizzare quelli della nostra tradizione. Piatti che hanno attraversato gli anni, che sono passati di cucina in cucina, da nonne a nipoti. E ora rimboccarsi le maniche, infarinare il mattarello e preparare la vera pasta all’uovo.

Ingredienti

  • 300 grammi di farina
  • 3 uova (uno ogni 100 g di farina)

Procedimento

Lo ammetto, usare le mani ha il suo perchè, ma questa volta ho deciso di giocare facile e di usare l’impastatrice.

Cominciate mettendo la quantità di farina che desiderate, nel nostro caso 300 grammi. Quindi quante uova avremo utilizzato? “Tre”, direte voi, se la matematica non è un opione: invece ne abbiamo usate 4 perché le nostre erano piccine piccine.

Come in ogni ricetta, così disse la nonna Angela, “devi vedere, devi sentire l’impasto come sta venendo, e poi decidi se aggiungere ancora qualche ingrediente”. La domanda, all’epoca, mi è sorta spontanea: ma allora le quantità nelle ricette a cosa servono? “Le quantità servono a chi non sa ascoltare il cibo”, ha risposto prontamente e con la saggezza di chi ne aveva viste (e cucinate) tante: e così mi sono sentito piccolo piccolo e ho continuato ad ascoltare in religioso silenzio osservando ogni movimento.

Ma ritorniamo alla nostra pasta. Una volta pronto, l’impasto va lavorato su una superficie di legno che vi aiuterà a ottenere la giusta consistenza: una volta raggiunta una buona omogeneità lasciatela riposare nella pellicola per almeno 30 minuti. Se avete pazienza aspettate anche un’ora, male non fa.

Una volta passata l’agonia dell’attesa, scoprite il composto e iniziare a stendere la pasta nel formato desiderato. Noi abbiamo scelto le tagliatelle: un’ottimo modo per sfruttare il ragù cucinato il giorno prima.

Una volta raggiunto lo spessore adeguato (va a gusti) tagliate la pasta in strisce larghe di 7-8 millimetri, poi stendetela ad asciugare per almeno 10 minuti. Giusto il tempo per fare bollire l’acqua. Salatela e tuffateci le vostre tagliatelle: la cottura varia a seconda dello spessore della pasta. Affidatevi al vostro palato e dopo qualche minuto assaggiatela. Li avrete la vostra risposta.

Scolate la pasta una volta cotta e condite a piacimento. Buon appetito!

Week end alle Cinque Terre

di Emma Crescenti

Giugno 2020. L’Italia ha da poco riaperto i battenti dopo mesi infernali a causa della pandemia Covid. Un weekend al mare è l’ideale per staccare, per respirare un po’ e tornare, in sicurezza, a esplorare le meraviglie che offre la nostra Penisola. Ma dove andare? Cerchiamo acqua limpida e relax, ma anche luoghi di cultura e panorami mozzafiato non troppo distanti da Brescia. Mettiamo nel mixer i nostri ingredienti, frulliamo ed ecco il verdetto da riferire ad Android Auto: “Ok Google… portaci alle Cinque Terre”.

Giorno 1 – Photoshooting a Manarola

Partiamo presto per non perderci neanche un minuto della nostra mini vacanza, direzione Manarola. Come tutti e cinque i borghi del parco ligure, il paese è chiuso al traffico (eccetto i residenti), quindi lasciamo l’auto nel parcheggio comunale a pagamento situato in cima all’abitato (circa 40 per tre giorni), prendiamo le valigie e affrontiamo la lunga discesa per sistemarci in un piccolo ma funzionale monolocale del Residence Le Coste.

La visita a Manarola dura tutta la mattina. Il paese è piccolo, ma ha tantissimo da offrire. Si sviluppa in verticale sulla costa rocciosa, un ingarbugliarsi di abitazioni e ristorantini affacciati sulle strette viette e di punti panoramici dove l’aspirante influencer Federica non esita a sfruttarmi per il suo book fotografico da instagrammare prima di subito. Però, lo ammetto, qualche foto me la sono fatta fare pure io. Per concludere il giro affrontiamo la salita verso Punta Bonfiglio, luogo privilegiato per osservare il borgo e il mare in tutta la sua interezza, belli da togliere il fiato. Per riposare le gambe e rifocillare lo stomaco sostiamo al Nessun Dorma, dove addentiamo una bruschetta al pesto (e molto altro) sotto gli occhi incazzati di un gabbiano geloso del nostro lauto pranzo.

Il pomeriggio? In acqua a Monterosso, ultimo borgo delle Cinque Terre, che raggiungiamo in treno: il modo più semplice ed economico per muoversi su e giù per la Riviera. Qui le spiagge libere si alternano ai bagni a pagamento: fingendoci ricche prendiamo un ombrellone e ci godiamo il resto della giornata fra un tuffo e un ghiacciolo artigianale alla frutta sdraiate sul lettino, finché non ci troviamo entrambe assorte nella conversazioni stile Beautiful delle comari un ombrellone più in là. “Ma quindi davvero il marito l’ha tradita con la cognata?” dice lo sguardo eloquente che ci scambiamo io e Federica.

Un Cinque Terre della Cantina Crovata corona la cena da Aristide a base di pesce fresco e baccalà fritto. Il modo migliore per concludere la giornata.

Giorno 2 – E così salimmo a veder Corniglia

Il tour prosegue con le scarpe da ginnastica ai piedi e la torta di mele fatta in casa di Aristide che sognavo dal giorno prima nello stomaco. Il treno ci porta alla stazione di Corniglia, il borgo centrale delle Cinque Terre che a differenza degli altri non si affaccia direttamente sul mare, ma si trova sulla cima a un promontorio “vestito” da una fitta vegetazione e vigneti a terrazza. Per raggiungere il centro altro non si può fare che incamminarsi sulla Lardarina, una lunga scalinata che 33 rampe, 382 gradini e un’embolia polmonare dopo ti porta nel cuore di una bellissima cittadella medievale circondata da balconi da dove ammirare la costa e il mare. Lo sforzo, insomma, è stato ripagato.

Vernazza è la meta successiva. Dalla stazione scendiamo verso il centro abbassando la mascherina giusto il tempo di gustare la nostra focaccia al pesto da passeggio. La via principale è un tripudio di colori e case tipiche e ancor meglio è il porto, dall’estremità del quale si può ammirare il paese in tutta la sua gloria. Alzando lo sguardo, invece, il castello dei Doria, una fortezza medievale costruita sul costone roccioso, sembra volerci ricordare quanto siamo piccole di fronte a un monumento che ha attraversato i secoli e la storia. Federica mi rimprovera perché non so usare il selfie stick, ma facciamo la pace davanti a uno spritz al basilico e a un tris di bruschette che più buone non si può.

Dopo l’ascesa al paradiso e la lunga camminata della mattina, il mare di Monterosso ci reclama di nuovo. E anche un litro di frozen daiquiri, che ben si sposa con i 40 gradi della giornata abbassando la temperatura corporea di queste due povere pellegrine in costume da bagno e infradito. Unica pecca della giornata la cena al Porticciolo di Manarola dove scopriamo al momento di sederci che il menù era stato ridimensionato. Addio polipo, benvenute trofie, ma il Burasca Cinque Terre risolleva gli animi.

Giorno tre – Sù per la città verticale

L’ultimo giorno di questa mini vacanza comincia a Rio Maggiore, il primo borgo della Riviera è sicuramente il più imponente. L’abitato è composto da diversi ordini paralleli di case torri, le tipiche abitazioni genovesi, che fioriscono sui due versanti del paese. A parte il quartiere della stazione, più recente, nel resto della cittadella si respira l’aria della tradizione ligure. Stradine strette, scale centenarie che conducono a portocinini caratteristici. Il click della macchina fotografica risuona fra gli edifici colorati, ma è dentro al cuore che scatta la vera emozione. Da qui parte anche la famosa Via dell’Amore, un sentiero di circa un chilometro a picco sul mare che attraversa la costa scoscesa e congiunge Riomaggiore a Manarola, famoso per i suoi incantevoli e indimenticabili panorami. Un’alternativa per chi non vuole usare il treno.

Prima del ritorno a casa ci concediamo l’ultima visita a Monterosso, di cui fino ad ora avevano visto solo la spiaggia. Il paese è infatti diviso in due da un promontorio che separa la zona residenziale di Fegina dal porto vecchio e dal centro storico, che nulla ha da invidiare ai suoi “fratelli”. Ci inerpichiamo sulla stradina che porta al convento dei Cappuccini, per poi riscendere dall’altro versante verso il cuore del paese.

Il pranzo a base di focaccia ci dà le forze per affrontare il ritorno a casa, duro sia per lo spirito che per il fisico. Nonostante l’allenamento dei giorni precedenti, la risalita dal centro di Manarola verso il parcheggio comunale mi lascia senza fiato e con i polpacci che gridano pietà. Però per te, Riviera Ligure, lo rifarei.

Sicilia Bedda

di Emma Crescenti

Innanzi tutto, la premessa. Primo anno di lavoro, prima vacanza pagata interamente con il proprio stipendio. Niente affitto, rate del mutuo o auto da pagare, nessun limite (a parte il plafond della carta di credito, ovviamente): solo la voglia di viaggiare, di abbrustolire al sole come le lucertole e mangiare, mangiare a volontà. E così, signori miei, inizia quel capitolo chiamato Sicilia.

Giorno 1 – Arancino, quanto t’aspettai

Atterriamo a Catania verso le 9.30, dopo un’ora e mezzo di volo cominciato a Orio al Serio (Bg). Tempo di noleggiare l’auto (la mitica “Pandabbagno”, il fiero destriero che nonostante i suoi cavalli un po’ zoppi ci ha portato ovunque), imbocchiamo la strada per Portopalo di Capopassero (Sr), punta estrema della costa orientale e prima meta della nostra vacanza.

“Entro mezzogiorno vogliamo essere in acqua” ci diciamo io e Federica e così è stato. Alle 11.30 lasciamo le valigie al B&B Volga 21, indossiamo costume e infradito e, tempo di comprare l’ombrellone, finalmente siamo in mare. Ne usciamo solo per festeggiare il nostro primo giorno in Sicilia al chiosco accanto alla spiaggia Scalo Mandrie con spritz, insalatona e ciò che sognavamo già sull’aereo: un arancino tradizionale, ripieno di ragù e mozzarella filante, di cui ancora oggi sentiamo il sapore in bocca.

E solo il cibo, in effetti, è la cosa che ci spinge ad abbandonare il mare e a prepararci per la serata nell’entroterra, a Modica (Rg), città del cioccolato e uno dei più significativi esempi di architettura tardo barocca dell’isola. Lasciamo la macchina in un parcheggio a pagamento in via Nazionale e guadagnamo il centro, che ci conquista con il suo panorama mozzafiato. Ma ancor meglio è stata la cena all’Osteria dei sapori perduti, dove il ricco antipasto e il vino (rigorosamente della zona e suggeritoci dai titolari) ci stendono tanto da rimandare indietro quasi intatto, un po’ mortificate, il primo a base di gnocchetti sardi . Caro cameriere, di nuovo: ti giuro che era buono.

Poi la rotta verso il letto, sature di rosso siciliano, in mezzo alle strade di campagna non illuminate. Un’impresa che fortunatamente siamo qui per raccontare.

Giorno 2 – Siamo in paradiso

Questa giornata si divide a metà. La prima si chiama “Siamo in un ca**o di paradiso”. Partiamo presto, direzione spiaggia di San Lorenzo, un piccolo angolo di Caraibi in Sicilia a circa 20 minuti dalla nostra “base”. Spiaggia chiara e sabbiosa, mare pulito e cristallino, quasi trasparente: e tutti i viaggi al mare di una vita muti. La granita alla mandorla che abbiamo in mano corona tutto alla perfezione. E mentre Federica cerca Antonio, il fedele selfie stick, io spero che il tempo si fermi per sempre.

E’ ora di pranzo. Un po’ controvoglia, ma spinte dalla voglia di scoprire posti nuovi, facciamo rotta per Marzamemi, un piccolo e affascinante borgo poco distante. Il giro nel centro è breve e affaticate dal sole cerchiamo un ristorantino dove riposarci: e così abbiamo trovato l’acqua nel deserto. Vicino al lungomare, il chiosco La Diga ci conquista a colpi di insalata di arance, frittura, cozze e carpaccio di pesce. Il sogno di un pranzo leggero è rimasto tale, ma non prendiamoci in giro, siamo in Sicilia!

Ed ecco la seconda parte, che abbiamo chiamato “quanto mai”. Con tanta buona volontà torniamo a Portopalo per vedere la famosa Spiaggia delle Correnti, ma il vento quel giorno è stato poco clemente sia con noi che con il nostro ombrellone. Il risultato? Siamo tornate al b&b scottate e con la sabbia perfino nell’animo. Il panorama però era bello, magari la prossima volta controlliamo il meteo.

Il morale si risolleva al Pepe Nero di Noto (Sr), un ristorante consigliatoci da una coppia a San Lorenzo e che ora, mentre scrivo questo articolo, abbiamo scoperto potrebbe aver cessato l’attività. Peccato, perché è stata una delle cene migliori e la loro salsa di pomodori secchi fatta in casa merita di diventare patrimonio Unesco.

Giorno 3 – Alla scoperta di Ortigia

E’ tempo di partire per una nuova meta. Così dopo aver fatto benzina (regalando all’automatico 5 euro perché come cavolo abbiamo fatto a pensare che un cinquantino ci stesse tutto nella Pandabbagno), 50 minuti dopo siamo al b&b Giardino d’inverno di Siracusa, un po’ lontano dall’isola di Ortigia (il centro storico della città) ma poco distante dal parco archeologico della Neàpolis greco-romana.

Anche oggi il programma prevede mare e buon cibo. Il viaggio in macchina stanca: così impostiamo il navigatore verso Fontane Bianche, ma essendo domenica tutta la Sicilia sta in spiaggia. Non ci perdiamo d’animo, sgomitando ci guadagniamo un buco dove mettere i salviettoni e ci gettiamo in mare: e anche qui l’acqua pulita e fresca tiene alta la nomea delle coste siciliane.

Il pranzo “leggero” a base di arancini e mojito ci apre lo stomaco per la super cena al ristorante ALevante di Ortigia. Raggiungiamo l’isola a piedi dopo aver lasciato l’auto al parcheggio a pagamento (ma onesto) il Molo di Sant’Antonio, poco fuori dal ponte. Giriamo il centro un po’ alla cieca, con google maps in una mano e un arancino “da passeggio” ai frutti di mare nell’altra per darci energia, per poi arrivare al ristorante dove il polipo alla brace e i paccheri al pesce spada, accompagnati da un bianco fresco, ci fanno ringraziare il cielo di aver prenotato questa vacanza.

Giorno 4 – Un tuffo nel mare e nella storia

Dopo tanto mare, è tempo anche di cultura. E per chi come me porta sulle spalle cinque anni di liceo classico e una laurea in Lettere Antiche, la Neàpolis è una tappa imprescindibile. La giornata parte bene, parcheggiamo lungo il viale principale (a pagamento) e non ci scoraggia l’aver pagato due cappelli di paglia 10 euro l’uno dall’abusivo per poi scoprire che davanti al sito il mercatino autorizzato li vendeva a 5. Ma ca**o.

Sotto il sole cocente, in mezzo a tedeschi che non abituati al caldo svenivano come birilli, comincia il viaggio nell’antica storia siracusana dove la folta vegetazione incornicia grotte naturali, resti di templi e sepolcri, nonché il celebre anfiteatro romano. Uno spettacolo. A farci da guida per un po’ è stata una delle gatte della colonia felina ospitata dalle rovine, che ha voluto essere ripagata con qualche coccola e carezza.

La visita dura qualche ora. Il pomeriggio ci godiamo il meritato riposo all’Arenella, la spiaggia più quotata di Siracusa, dove ancora brindiamo con mojito e arancini. Un breve acquazzone ci costringe a cercare riparo sotto l’ombrellone, ma poco dopo il sole è nuovamente sopra di noi.

Ortigia è nuovamente la nostra meta serale. Questa volta il quartiere dell’ex mercato, dove oggi fioriscono, uno dietro l’altro, una serie di ristorantini tipici. La Carnazzeria attira la nostra attenzione e anche il nostro gusto. La vista dei tavolini e della via illuminata accompagna una cena a base di polipo che ci lascia piene ma soprattutto soddisfatte. Ed è qui che ci chiediamo: “ma noi, in questi giorni, abbiamo mai bevuto dell’acqua?”

Giorno 5 – A Taormina

Goethe l’ha definita “il più grande capolavoro dell’arte e della natura” e Taormina lo è davvero. La perla del Mediterraneo è la terza tappa del nostro viaggio. Muoversi non è semplice, la città si sviluppa (molto) in verticale e le strade sono strette, ma ormai guido come una siciliana autoctona e il nostro umile mezzo riesce anche a inseguire lo scooter della proprietaria di casa lungo una salita a 45 gradi fino al nostro appartamento. E’ forse il punto più alto della città e la vista… Dante direbbe che è ineffabile.

Dal parcheggio (ed ecco la nostra Jeffrytips) una navetta ci porta in centro, dove la prima meta è un invitante pasticceria e i suoi cannoli con granella di pistacchio. Soddisfatte attraversiamo le tipiche strade medievali su cui si affacciano negozi, banchetti e ristoranti fino al Teatro Greco, il monumento più famoso di Taormina e ancora oggi utilizzato per le rappresentazioni drammatiche e musicali.

La mattina trascorre immersi nella città, ma dopo il pranzo si migra a Isola Bella, la spiaggia più conosciuta, racchiusa in un’insenatura tra gli scogli. Niente sabbia fine ma sassi e rocce, l’acqua è la più limpida di tutta la Sicilia e la location da “diesci”. E senza possibilità di ribaltare la situazione. Dato che siamo in vena di cambiamenti, la sera al posto del pesce optiamo per una buona pizza a La Napoletana, un locale nascosto fra i vicoli del centro. E’ testa a testa fra la caprese con pomodoro di San Marzano e la prosciutto e pistacchi, ma con una rossa artigianale entrambe vanno giù benissimo.

Giorno 6 – La Grotta Azzurra

E’ l’ultimo giorno di vacanza, ultima occasione per rilassarsi come si deve, e quindi decidiamo di trascorrerlo in spiaggia sotto il sole. Ma abbandoniamo presto il salviettone per una gita in barca alla scoperta delle bellezze nascoste della costa. L’escursione ci porta alla Grotta Azzurra, situata nel parco marino di Isola Bella: il gioco di luce, il contrasto tra il buio della caverna e la luce che penetra dall’esterno, è da brividi. Un’esperienza mozzafiato che conclude con un tuffo dalla barca in mezzo al mare blu.

Il resto del pomeriggio è di puro relax. Ci alziamo dalla spiaggia solo per entrare in acqua, poi solo un libro, le parole crociate e spotify sparato nelle orecchie. Giustamente ci riposiamo per prepararci alla cena, l’ultima di una vacanza molto eno e ancor più gastronomica.

Al Rosso Peperoncino ci accolgono e ci fanno sedere in un tavolino nel chiostro esterno. Siamo cariche e affamate, è l’ultima cena e non vogliamo badare a spese. Un bianco locale accompagna l’antipasto a base di gamberi rossi crudi e il pescato del giorno, buono da morire. Un cannolo pieno di ricotta dolce chiude tutto in bellezza.

Giorno 7 – Torniamo sì, ma piene

L’addio a Taormina ha il sapore della granita di mandorle e della brioches del Bam bar, il locale più eccentrico del posto e tappa di molti vip. Con calma visitiamo la parte restante della città e verso le 11 ci rimettiamo in macchina fino a Catania.

Ora, noi ci abbiamo provato. Lasciata la macchina al parcheggio Europa ci siamo addentrate oltre la porta della città, che a quell’ora era più calda della superficie del sole. E così, sentendoci un po’ in colpa, in attesa del volo abbiamo cercato un ristorante per il pranzo. Ancora dobbiamo ringraziare il personale di Andrew’s Faro per la cordialità che ci ha dimostrato e per aver rimandato indietro il primo ancora intatto, per la seconda volta nella vacanza: ma fra caponata, frittura, insalata di polipo, carpaccio, verdure e il riccio di mare che il proprietario ci ha quasi costretto ad assaggiare… insomma , per noi il pranzo leggero non è mai stata un’opzione plausibile.

Stanche ma soddisfatte, abbiamo fatto rotta verso l’aeroporto e verso casa. Con la pancia piena, qualche chilo in più e la gallery del cellulare piena di ricordi. Con la certezza di ritornare alla prima occasione possibile.

#JT Parcheggio a Taormina

Eh si. In mezzo a tutta quella bellezza, anche Taormina una pecca ce l’ha: il parcheggio.

Non perché non ci siano posti: dal momento che il centro storico è bandito alle auto e che la città si sviluppa in verticale con strade spesso strette, la città ha dovuto far fronte al bisogno dei cittadini e dei turisti costruendo diversi autosilos. Ma perché purtroppo, nonostante comunque ci sia di peggio, è un po’ caro. Per meno di mezza giornata il costo all’epoca (2018) si aggirava fra i 10-12 euro.

Il nostro appartamento aveva a disposizione un piazzale per le auto, ma era troppo in alto per poter scendere comodamente a piedi verso la città. Quindi abbiamo dovuto ripiegare su questi posteggi a pagamento. Il primo giorno abbiamo lasciato l’auto al Lumbi, da dove abbiamo preso la navetta che ci ha portato in centro, a poca distanza dalla partenza della funicolare che porta alla spiaggia di Isola Bella. La sera invece optavamo per Porta Catania, il più vicino al cuore di Taormina: una volta parcheggiato in pochi minuti arrivavamo alla porta principale.

#JT Torta al cioccolato

Viaggiamo con i sapori

Visto che il tempo non è dei migliori e che fa freddo (anzi “freddo freddo freddo” cit.) ci è venuta voglia di preparare una torta! Non c’è bisogno di molto: vi basta avere l’apposito stampo e una forno che trasformi l’impasto in dolce da leccarsi i baffi.

Qui trovate un po’ di storie sulle varie tipologie di torte al cioccolato.

Continuate la lettura per scoprire tutto sulla nostra versione.

INGREDIENTI PER STAMPO DA 24cm:

  • 3 uova
  • 200g di zucchero
  • 300g di farina 00
  • 1 bustina di lievito per dolci
  • 120ml di olio di semi
  • 75ml latte
  • 55g cacao
  • 5 cucchiai di confettura di albicocca (anche 6 o 7 se la volete bella gustosa)

Procedimento

Mettete le 3 uova (intere) in una ciotola insieme allo zucchero. Montate con uno sbattitore elettrico incorporando molta aria. Una volta che il composto diventa bello chiaro e spumoso aggiungete metà farina e continua a mescolare con lo sbattitore. Dopo qualche minuto aggiungete la restante farina, l’olio e lo lievito.

Quando il composto diventa omogeneo aggiungete il latte e il cacao, facendo attenzione a non far partire lo sbattitore alla massima velocità, altrimenti vi troverete a ripulire tutta la cucina da tutta la polvere marrone sollevata dal mestolo meccanico (non che sia capitato a noi, eh, testimonianza di un amico…).

Ora che avete amalgamato il tutto prendete lo stampo per torte, imburratelo e infarinatelo per bene. Rovesciate il composto dentro lo stampo e distribuitelo in modo omogeneo su tutta la superficie.

Mettete in forno statico per 55/60 minuti a 150°C

Per sapere se la torta è cotta utilizzate il solito trucco dello stuzzicadenti. Non lo conoscete? Non preoccupatevi, è più semplice di quello che sembra: infilate lo stuzzicadenti al centro della torta e quando lo tirate fuori deve essere asciutto al tatto. Se vedete che è umido oppure che si sono attaccati dei pezzi di torta proseguite la cottura per 5 minuti alla volta e ripete la verifica.

Lasciate raffreddare

Una volta che la torta si è raffreddata toglietela dallo stampo, tagliatela in orizzontale e farcite con la confettura che vi piace di più. Poi cospargetela con dello zucchero a velo e servitela, oppure mangiatela tutta voi! Della serie: “Dieta spostati che c’è il cioccolato!”

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